«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


domenica 21 febbraio 2016

UN RICORDO DI ECO




"Dulce est desipere in loco" 
(Orazio, Odi)

“Porfirio è matto” 
(Porfirio, Vita di Plotino)

"Monsieur, vous êtes fou" 
(Lo psicoanalista lacaniano Wagner a Casaubon nel Pendolo)

"Stay foolish" 
(Steve Jobs agli studenti della Stanford University di Palo Alto)

"Siamo pazzi" 
(Umberto Eco sull'avventura editoriale della Nave di Teseo)


Il caso amico e la pazzia pura sono alla base di una delle (poche, credo) cose originali del mio libro su Umberto Eco uscito cinque anni fa. Se ho potuto dire qualcosa di nuovo sul capitolo 113 del Pendolo e più in generale sulla stessa ricostruzione da parte di Eco della storia della semiosi ermetica e paranoica, devo ringraziare una combinazione strana tra un colpo di fortuna e una congettura assolutamente folle. 
Tra il 2009 e il 2010, mentre lavoravo al saggio su Eco e rileggevo il Pendolo, mi capitò di avere a che fare con L'antro delle Ninfe di Porfirio: me lo trovai tra le mani in una libreria, mi incuriosì, lo comprai, lo regalai a un amico grecista prima di leggerlo, lo ricomprai e infine lo lessi. Ebbene, nel capitolo 113 del Pendolo, il fantasma dell'alchimista Heinrich Khunrath, autore di un Amphitheatrum Sapientiae Aeternae, spesso citato nel romanzo, a un certo punto comincia a biascicare formule strane e sconnesse tratte dal suo libro, una delle quali è la seguente frase in greco: «Symbolon kósmou... tâ ántra... kaì tân enkosmiôn... dunámeôn eríthento... oi theológoi» (i teologi consideravano gli antri simboli del cosmo e delle potenze cosmiche). Ora, la mia conoscenza del greco da autodidatta non supera la seconda declinazione, eppure la lettura quasi simultanea dei due testi mi fece scoprire in un lampo intuitivo che il passo in greco citato da Eco proviene dall'operetta di Porfirio. 
Questo fu il colpo di fortuna. Il problema, adesso, era dare una spiegazione al fatto che Eco, che aveva scritto un saggio celeberrimo su un'altra opera di Porfirio quando io ancora giocavo con le figurine Panini, non dica mai nel romanzo che il passo viene dall'Antro delle Ninfe, lasciando semplicemente capire che esso si trova citato da qualche parte nel libro di Khunrath (che nel frattempo ero riuscito a procurarmi in copia digitale).


E qui arriviamo alla folle ipotesi interpretativa (un'abduzione molto alcolica): e se Eco non sapesse che il passo messo in bocca a Khunrath è di Porfirio? Se le cose stessero così, mi sono detto, si potrebbero fare alcune considerazioni molto interessanti sulla datazione stessa della semiosi ermetica, aggiungendo un elemento significativo alla stessa ricostruzione di Eco contenuta ne I limiti dell'interpretazione, la raccolta di saggi che costituiscono in buona parte il pendant teorico del romanzo. Ma come appurarlo? Rivedendo tutti i testi di Eco a mia disposizione, non trovavo alcun cenno a quell'opera di Porfirio; ma questo, pur confortandomi, non mi dava una prova definitiva, considerando anche il fatto che la prima edizione in italiano  dell’operetta di Porfirio (Adelphi 1986) era uscita proprio negli anni in cui Eco lavorava al Pendolo. Ed ecco allora che arriva un secondo colpo di fortuna. Avevo già avuto l'incredibile opportunità di conversare per una buona mezz'ora con Eco nel 2007 dentro il Castello Sforzesco (dove dopodomani si svolgerà la cerimonia funebre), ma all'inizio del 2010 si presentò nuovamente l'occasione di incontrarlo (questa volta a Venezia), perché lui andava in giro a promuovere Vertigine della lista. Ebbene, dopo avergli ricordato il nostro primo incontro (in cui gli feci ammettere tutti i debiti della sua ermeneutica nei confronti dell'epistemologia popperiana: l'intervista è ristampata in Appendice al libro), gli chiesi a bruciapelo (come da foto): "Professore, ma lei lo sapeva all'epoca che il passo in greco messo in bocca al fantasma di Khunrath nel centotredicesimo capitolo del Pendolo è di Porfirio?". Lui rispose di no e io per la gioia stavo per decollare come un razzo terra-aria. Allora gli parlai del libro a cui stavo lavorando, gli lasciai una chiavetta USB con i capitoli completati e ci demmo appuntamento "epistolare" a quando avessi finito il lavoro. 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.