«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


domenica 26 ottobre 2014

IL GIOVANE METAFISICO


Nel 1811, all'età di 13 anni, Giacomino scrisse, tra le altre cose, quattro stupefacenti "Dissertazioni metafisiche", che stamattina, per colpa anche del film di Martone, mi è saltato il ghiribizzo di leggere attentamente (il Meridiano delle poesie e delle prose ne riporta tre, quella sui sogni, quella sull'esistenza dell'ente supremo e quella sull'anima delle bestie; la quarta, sull'Ente in generale, la si può trovare con facilità nel 'Tutto Leopardi' della Newton Compton). 

Ebbene, in questi esercizi filosofici di un ragazzino assolutamente fuori dal comune (se oggi un insegnante avesse la sventura di ritrovarsi in classe un alunno vagamente simile, gli converrebbe andare a restituire laurea e abilitazione) c'è una cosa che mi colpisce e che conferma alcuni recenti risultati sperimentali sull'evoluzione delle nostre strutture cognitive. Nelle dissertazioni, infatti, il "giovane favoloso" sostiene una serie di luoghi comuni della metafisica tradizionale che di lì a poco abbandonerà come fossero favole infantili, e si tratta esattamente di alcuni di quei luoghi comuni che modellano ancora oggi le vie neurali di gran parte dell'umanità (l'ultimo capoverso della dissertazione su Dio non a caso fa appello al "comune universale consenso di tutte le nazioni"), nonché di molti di quei filosofi idealisti e particolarmente ostili alla tecnica e alle scienze della natura che, con sottile e sottovalutata contraddizione, godono di popolarità persino in rete e sui media. I due luoghi comuni principali sono il dualismo mente-corpo di sapore platonico-cristiano-cartesiano e l'idea tomistico-lebniziana del disegno intelligente e dell'essere perfettissimo. Il ragazzino erudito, cioè, innesta i contenuti filosofico-religiosi dei suoi studi matti e dispAratissimi sulla particolare architettura mentale del Sapiens (peraltro condivisa con altre specie), il quale è stato dotato dall'evoluzione di preziosi dispositivi iperattivi di attribuzione di intenzionalità e di riconoscimento di agenti da cui, secondo alcuni studi neurocognitivi recenti (discussi per esempio in un libro del 2008 come Nati per credere di Girotto, Pievani e Vallortigara), a seguito di cascate di cooptazioni funzionali (exaptations) deriverebbero come sottoprodotti gli spiriti (come i cartesiani e muratoriani "spiriti del sangue" della Dissertazione sopra i sogni), i folletti, le anime, gli dèi e i divini architetti delle varie culture. Insomma, è come se queste dissertazioni offrissero un compendio di alcuni aspetti "infantili" e innati del pensiero umano che sono una parte di quella che oggi viene chiamata psicologia ingenua. A Leopardi, contrariamente a quanto accade alla stragrande maggioranza degli esseri umani, bastò poco tempo per rendersi conto che in realtà non ci sono né anime immateriali, immortali e assolutamente libere (che nella Dissertazione sopra i sogni gli sembravano lapalissianamente deducibili dalla nostra stessa capacità di immaginare e produrre idee e pensieri) né disegni intelligenti di un essere perfettissimo (che nella Dissertazione sopra l'esistenza di un Ente Supremo deduceva certissimamente ripetendo l'argomento modale di Leibniz per cui l'essere-necessario-se-è-possibile-esiste-ma-è-possibile-dunque-esiste-e-bla-e-bla). 

Nel mare di stupidaggini in cui la mente giovanile di Giacomino naufragava dolcemente, qualche buon pesce, persino più buono di quanto lui stesso potesse immaginare, è tuttavia finito nella rete. Si tratta di due piste di ricerca poco ortodosse (rispetto al rigido cattolicesimo familiare) che lui ha intravisto e coraggiosamente imboccato, percorrendone i tratti iniziali e ancora acerbi: una spiegazione neuroscientifica dei sogni che rigetta qualsiasi fantasia oniromantica e una teoria gradualista dell'"anima" e dello "spirito" che, per quanto riguarda l'attribuzione di una "mente cosciente" agli animali (come si direbbe oggi), lo porta oltre il paradigma strettamente cartesiano e lo avvicina ad approcci contemporanei particolarmente sofisticati come quello di un Hofstadter (si pensi ai "gradi di anima" misurati in Huneker di cui, tra il serio e il faceto, si parla in Anelli nell'io): «sembrami di poter concludere con sicurezza che la sentenza la quale afferma esser l'anima dei bruti uno spirito dotato di senso, di libertà e di un qualche lieve barlume di ragione è certamente più probabile di ogni altra» (finale della Dissertazione sopra l'anima delle bestie).

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